Dal 29 ottobre 2024 al 16 febbraio 2025 Palazzo Esposizioni Roma presenta la
mostra personale di Pietro Ruffo intitolata L’ultimo meraviglioso minuto. A cura di Sébastien Delot, direttore della collezione del Museo Nazionale Picasso di Parigi, l’esposizione è promossa da Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo, prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo
L’ultimo meraviglioso minuto, la più grande mostra personale di Pietro Ruffo mai
realizzata fino ad oggi da un’istituzione pubblica, raccoglie lavori di natura diversa che
formano un racconto unitario, un lungo e articolato viaggio nello spazio e nel tempo,
che termina con un grande omaggio alla città di Roma.
Oltre 50 le opere che l’artista ha realizzato appositamente per quattro delle sale del
piano nobile di Palazzo Esposizioni, un gesto artistico che indaga il tema
estremamente attuale e discusso del rapporto tra essere umano e pianeta, con uno
sguardo inedito e un punto di vista coraggioso, che invita a considerare il potenziale
‘meraviglioso’ della nostra presenza sulla Terra.
Già riconosciuto dalla critica e dal pubblico internazionale, nel 2024 Pietro Ruffo
partecipa alla Biennale di Venezia con una grande installazione dal titolo L’immagine
del mondo, mentre alcuni suoi lavori sono entrati a far parte di numerose collezioni –
come quella dei Musei Vaticani, del MAXXI e della Deutsche Bank Foundation – e
oggi la mostra a Palazzo Esposizioni conferma un momento della sua carriera
estremamente dinamico e di grande vitalità.
La mostra
La mostra gioca sulla dilatazione e contrazione del tempo e dello spazio. L’obiettivo è
quello di far percepire tempi lunghissimi, per noi immemorabili – quelli della storia del
pianeta e dell’uomo – nello spazio e nel tempo unico dell’incontro con le opere.
Tutto inizia con un’avventura durante il periodo di residenza alla Nirox Foundation,
dove grazie all’amicizia con Lee Berger, antropologo e paleontologo di fama mondiale,
Ruffo vive un’esperienza che segnerà profondamente il suo lavoro: visita uno dei
luoghi più emblematici della storia umana, ovvero La Culla dell’Umanità, un sito
paleoantropologico che si trova non distante da Johannesburg in Sudafrica, il luogo in
cui è stato scoperto il primo primate della storia.
La mostra parte da 55 milioni di anni fa. Il titolo della prima sala, Le monde avant la
création de l’homme, è lo stesso del libro di Camille Flammarion, che ha come
sottotitolo “origines de la terre, origines de la vie, origines de l’humanité” (1886). Un
libro che l’artista ha letto da adolescente e del quale riscopre il valore letterario e quello
delle meravigliose tavole incise che mostrano come, alla fine del XIX secolo, veniva
immaginato il mondo prima della ‘creazione’ dell’uomo.
Di questo pianeta Ruffo traccia gli elementi caratteristici. Disegna con una penna bic
una foresta primordiale per creare un immenso sipario (700 metri quadri) che corre
lungo tutto il perimetro dell’ambiente (Primordial Forest), circondando i visitatori e le
visitatrici con immagini di piante e minerali, che rimandano all’epoca in cui la giungla
tropicale occupava la maggior parte delle terre emerse. Taglia la sala con una grande
struttura autoportante (4 metri per 21) sulla quale raffigura una porzione del Grand
Canyon, dipingendo con l’inchiostro su carte intelate con la tecnica del camaïeu
(usando, ossia, diversi toni della stessa tinta, in questo caso la terra di Siena bruciata).
Superato questa grande struttura, il pubblico si trova a camminare tra le tracce vegetali
di una vita passata della Terra: galleggiano come ninfee sul bianco pavimento 21
opere circolari di diverse dimensioni, dal titolo De Hortus, che creano un’atmosfera
cromatica di grande impatto visivo.
Il percorso della mostra procede addentrandosi nell’Antropocene: l’epoca geologica in
cui l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e
biologiche in cui si svolge ed evolve la vita, è condizionato dagli effetti dell’azione
umana. La paleontoclimatologa Rebecca Wragg Sykes nel suo noto Neanderthal, vita,
arte, amore e morte ha scritto, rifacendosi al ‘calendario cosmico’ di Carl Sagan: “Se
riduciamo i 13,8 miliardi di anni dell’Universo a un periodo di dodici mesi, i dinosauri
compaiono verso Natale, mentre i primi Homo sapiens arrivano solo pochi minuti
prima dei fuochi d’artificio di Capodanno”.
A questa manciata di ultimi minuti della storia del nostro pianeta sono dedicate le tre
sale successive, quelle in cui Pietro Ruffo esplora l’intervento umano alla ricerca della
“meraviglia”.
La seconda sala
Nella seconda sala, dove sono raccolte opere realizzate su carta intelata, con intagli
e inchiostro di china, i visitatori si trovano immersi in un archivio visivo che ripercorre
simbolicamente le tappe dell’evoluzione dei nostri antenati, dai teschi dei Neanderthal
di Saccopastore, fino alle statuette votive, primo emblema di pensiero astratto su cui
si fondano le società.
La terza sala
Nella terza sala, con un radicale cambio di scenario, i visitatori e le visitatrici si trovano
immersi in una video installazione, dal titolo The Planetary Garden, realizzata in
collaborazione con Noruwei. Ispirata all’omonimo testo del filosofo francese Gilles
Clément, l’opera restituisce in forma tridimensionale il movimento, lo slittamento e il
cambiamento del paesaggio nel tempo.
Ultima sala
L’ultima sala, intitolata Antropocene attraverso le stratificazioni di Roma, raccoglie
una serie di opere interamente dedicate alla città. Com’era Roma 2777 anni fa,
all’epoca della sua fondazione? E ancora prima, com’era quando le strade attuali
erano calpestate da giaguari e rinoceronti? Partendo dalle note mappe della città di
Giovanni Battista Nolli (1701-1756) e di Luigi Canina (1775-1856), l’artista le innesta
con squarci di inattesi panorami naturali proponendo una passeggiata inedita nella
storia e nella preistoria del territorio romano. Le opere raccolte in questa sala
permettono di passare dalle profondità marine (Antropocene 77, Rome Under the
Sea), alla foresta primordiale (Antropocene 92, Rome Covered by a Primordial Forest)
e poi al teatro di grandi costruzioni architettoniche (Antropocene 51, Rome Imperial
Period; Antropocene 53, Rome Porta Maggiore e altre). L’antologia di paesaggi
esplorata in queste opere si presenta come un mosaico di momenti storici e futuri
ipotetici, in cui ogni tassello della trasformazione è allo stesso tempo conseguenza di
eventi naturali e dell’intervento umano. Intagli su carta intelata, disegni a penna, a olio
e rilievi trovano un’armonia compositiva che invita all’osservazione profonda.
“Per capire l’infanzia del nostro pianeta, dobbiamo guardare in profondità sotto la sua
pelle. Per quanto possa sembrare strano, la Terra è molto viva. Il volto della Terra
cambia nel tempo. Riscoprire questa infanzia perduta significa capire cosa è successo
in profondità”, scrive il curatore Sébastien Delot.
È attraverso la ‘meraviglia’ che Ruffo, con gli strumenti dell’artista e con la potenza
delle opere, offre un’inedita esperienza visiva, mettendo sotto una nuova luce,
questioni ambientali che quotidianamente accompagnano il nostro vivere nella
società.
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